Vengo consultato in via telefonica per la gestione di una paziente eclamptica che continua a mantenere valori pressori elevati nel post-partum, con uno stato di coscienza dapprima compromesso ma in netto miglioramento. Io, tranquillo, dico. “beh, iniziate ad usare nifedipina XR e metildopa…”, per svezzarla dai litri di labetalolo e clonidina endovenosa.
Poi, come succede sempre, io dubito di me stesso e mi vado a guardare le LG ESC sulla gestione delle cardiopatiche in gravidanza[3], e mi rendo conto di una bella frase: “Methyldopa should be avoided post-partum because of the risk of post-natal depression.” Mi pongo il problema dell’allattamento, e forse questo potrebbe essere marginale a fronte dello stato di gravità della paziente. Curiosamente, però, il buon vecchio Sibai[1] ci dice che “Antihypertensive agents such as methyldopa, hydrochlorothiazide, furosemide, captopril, propranolol, and enalapril are compatible with breast-feeding”. In più, sembra che l’ipotensione neonatale (cosa grave) sia direttamente correlata allo stato pre-eclamptico della madre[2]. Mettiamoci in più i farmaci usati per l’ipertensione, la cui concentrazione nel latte materno è simile a quella del siero, e siamo a cavallo.
I guai iniziano qui: le LG ESC, frutto di una consensus, sono fortemente contraddittorie rispetto all’opinione di Sibai, che forse è l’unico che i ginecologi conoscono (e leggono). Inoltre, Sibai è molto più preciso di noi cardiologi nel proporre un algoritmo diagnostico per la gestione dell’ipertensione nel post-partum che potete notare in figura. Per farla breve, gestire un’ipertensione maligna nelle puerpere non è una cosa semplice, ed è necessario che collaborino tutte le figure professionali interessate. Forse lo sbaglio sta proprio nel mio coinvolgimento telefonico, ma non si può essere tutti perfetti.
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